sans tes fleurs

indépendance - ivraie

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Quanti affanni per un giorno di luce,
per raccogliere nella vita
un alito di voce e raccontarmi
quanta vita c’è stata in un nome.
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Amavi raccogliere margherite
strappando petali interrogavi l’Amore
e mi chiedevi se i fiori sentissero male.
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Lungo il nostro Arno, stasera
si rincorrevano come in quei giorni felici,
le luci.
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In me il tuo prato è una distesa di colori.
Non strappo petali
perchè ho sempre timore
di svegliarti dal volo
e farti male

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quindici anni senza te, Tiziano,
 sono tanti.
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amis

protege-moi

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Sai Tì, Marco, m’han detto che sta bene
e col lavaggio dello sperma ha avuto anche due figli;
non vedo più gli amici che abbracciavi con gli occhi
prima che la malattia te li saccheggiasse
per donarti, in ultimo l’ottavo senso,
ch’è l’autoironia.

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Ancora vociferano per le vie del mondo
che la tua malattia sia la malattia delle puttane,
dei froci, degli sconclusionati  e dei tossici.
Se solo sapessero, le comari 
che quei vicoli in cui ci si Amava anche con tenerezza
passavano interi pomerggi i loro maschi;
se solo sapessero che la malattia è nei loro letti,
se lo sapessero in quali lenzuola non hanno mai condiviso il cuore,
forse inizierebbero a confondersi ai rossetti rossi
con cui ci si truccava intere giornate
per imparare ad addolcirsi di baci, il cuore.

Il cuore di chi Ama rimane
sempre impigliato in qualche nassa,
in qualche antico gesto di tenerezza
che sa di mare anche in città.

Ora a Firenze ci sono i gabbiani
che volano come se fossero su un mare,

grigi e senza cielo,
sulla discarica

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Tiziano, Maria Teresa, Luigi, Marina, Fabrizio, e tanti, tanti ancora... troppi... troppi

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1 Dicembre  – giornata mondiale per la lotta all’Aids

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Liberamete tratto dalle Assenze

tu me manque

embrasse

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Vedi Ti, qui va tutto come sempre,
per non raccontarti che va un pò peggio.

In un anno, sono cresciute sempre le rose
e le spine più dei petali adornano giardini e silenzi.

Berlusconi c’è sempre e pensa,
c’è sempre Andreotti a svendere satira
come fosse cosa intelligente,
nei salotti di chi ha poco da raccontarsi.

L’abete ora supera i cinque metri d’altezza
e io non conto più i miei bei capelli bianchi;
chissà come staresti te coi capelli bianchi
sui tuoi occhi chiari, così chiari da fare male.

Non sono mai più venuta a cambiarti i fiori
ma ogni giorno te ne regalo nel cuore, di nuovi,
come vent’anni fa, noi, nei campi d’estate.

Era bello allora, immaginarsi una libertà
in un tuffo in un lago d’estate
mentre i guardiani ci ripetevano di non peccare.
Ero la più giovane, io, la più irrequieta
e m’innamoravo ogni giorno di un qualche sole
quando spuntava la luna.

Ci era vietato eccitarci
ma noi lo facevamo di nascosto,
scrivendoci biglietti di tenerezza,
lasciati scivolare sotto un pensiero,
dietro uno sguardo innocente, sempre arrivavano.

Erano gli aereoplani per i nostri voli,
nel cielo che è sempre uguale, Ti.
Cambiano le mani, le gesta
e ogni volta che ripercorro via Pisana
al nostro ultimo incontro, Ti,
l’ultimo abbraccio,
l’ultimo "ciao come va?"
l’ultimo arrivederci…

Non è ancora tempo per me, Ti,
dimmi almeno,
in un soffio di natura,
lì, in questa feroce Assenza,

Tu come stai?

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Dal dolore delle Assenze

absence III

ensemble

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Cerco nelle Assenze le risposte per capire
in  quale solitudine si consumi
senza alcuna pietà,
il destino.

Oggi era inverno
ad ovest di ogni pensiero
e anche a sud,
dove non c’è nebbia,

Perso il ricordo laddove gli occhi cercano
metriche di distanza per immaginare
senza sogni,

un altro improbabile
 incontro.
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Ciao Ti, stanotte ti scriverò

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Liberamente tratto dal dolore delle Assenze

équilibre

équilibre

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Si era sempre in bilico sulle stelle,
anche dopo essererci rialzati,
per paura di cadere mi tenevi per mano
in un silenzio che solo a noi parlava.

Di sguardi, il tempo si riempiva  di dolcezza,
noi che in quegli anni non si poteva amare.

Si passavano le domeniche seduti nella vita dell’altro
a raccontarci le nostre malattie d’Amore
e quella tenerezza che riuscivamo a darci
senza spingerci mai nel luogo proibito dell’Amore.

Ci dicevano che l’Amore non era importante in quel momento:
di nascosto ti chiedevo una carezza
senza che potessero vederci o punirci per questo.

Una domenica di luglio
chiesi a te e ad altri di amarmi
che c’era un brutto inverno nel mio cuore.
Una cosa simile a una bufera con visibilità limitata.

Mi accarezzaste l’anima di nascosto ai guardiani
e in quelle carezze rubate all’erba
tornai a ridere i miei pochi malspesi anni.

Era il periodo della mi seconda morte
che durò tanti inverrni e altrettante primavere.
La morte più lunga prima del dannato rischio di rinascita.

Un giorno decisi che non avrei più voluto vivere
che una vita senza Amore non era la vita che avrei voluto.
Fu lì che vidi i tuoi occhi, diventare lago.
Quegli occhi che poi, con la malattia,
prima di morire, ti facevano ancora vedere la speranza.

L’Amore era una carezza o un biglietto scritto
trovato nella grande mensa dove ci si ritrovava a mangiare.
Una sigaretta soltanto a tavola, dopo ogni pasto,
dopo che si era finito tutti di mangiare.

Parlavano gli sguardi
di tutte quelle cose che non si potevano raccontare
perchè Amare era peccato.

Però si leggevano i biglietti di tenerezze
e il vuoto tornava a essere ossigeno.

Il cuore stanco
tornava lento a battere
come la più triste delle puttane,

il cuore nel nostro inverno,
 ancora batteva

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liberamente tratto dal lungo inverno