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Fotografia di L. Martin
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Tornare a casa è sempre tuffarsi
dentro a una sequenza di ricordi,
di odori fatti a forma di qualcosa
dai contorni duri e dallo sguardo
morbido e accogliente.
La lontananza,
per giorni m’allontana dalle feritoie
di una finestra sul presente
o di articoli che appaiono sulla stampa,
ricordando una morte ingiusta, prematura
ch’è già diventata parte della mia storia.
A volte mi chiedo come sia morta Eva,
se per presa posizione davanti
alla bellezza del peccato,
o se davvero inciampò su una foglia di fico.
La lontananza è stata accoglienza.
E ringrazio ancora chi ha aperto il suo spazio
a chi come me, ha una voce sconsolata,
con una toscaneità che urla senza c-dure
anche in silenzio.
Ed ho trovato, nei giorni lontana da casa,
la bellezza della semplicità dei gesti
o gli abbracci che non mi sono fatta mancare
ed ho pensato che poesia non è
quello che scrivo, ma quanto leggo
nella più semplice quotidianeità
degli altri.
La mia storia è quella del figliol prodigo
che tornò troppo tardi
nella casa ormai vuota,
o quella di Eva che colse la testa di una serpe
fra i rovi, credendola una mora.
Ma c’è sempre un odore
che mi è famiglia:
è la mia perdizione
risonante in una tasca vuota.
Ha uno strappo anche il cuore,
rammendato con il filo fievole
della vita che succede.
Ecco,
sono tornata a casa.
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Trovato nelle cose che accadono
e negli odori di casa.