sein

sein

.

La duplice pesca dei tuoi seni
Nella coppa della giornata
Ecco sollevarsi il tuo ventre
Tra i rami del fico
Ecco la stanza che pulsa
Come una tempia delicata
E un versante del cielo che inonda
La più bella al mondo adagiata
Sotto la dolce tua mano stesa
Simile a felci ricurve
Penetrerò il mistero
Di una carne all’anima conquistata
Come un’acqua freschissima che si trae
Lentamente dal fondo del pozzo
Ti ricopri d’un velo di vapore
Che dissimula il tuo sorriso
Le mie dita conoscono il sistema
Per svegliarti e farti fiorire
Per perderti prima di dormire
Come una bimba nella foresta.
 
René Guy Cadou, “L’amore"
 
liberamente sfogliato e copiato
dalle Poesie che Amo

encore II

chercher

.

Che camminarsi dentro
è una arrampicata lunga una vita
per arrivare al lago dei ricordi
e dissetarsi con quella poca acqua
che si trova nelle pozzanghere.

L’acqua apparentemente ferma
regalava piccoli specchi in cui
raccogliere con i due palmi di mano
ciuffi d’acqua pulita da portare alla bocca.

Iniziai così a dissetarmi nelle lunghe passeggiate
sui crinali dell’appennino tosco romagnolo
nelle lunghe estati evolutive
Un sacco a pelo, pochi amici e una chitarra.
L’acqua era la sopresa e la ricerca
che si facevano per i boschi.

La notte si dormiva con dei fuochi accesi
nelle piazze naturali sui monti
perchè i cinghiali non arrivassero a noi.

Eravamo giovani.
Eravamo incoscienti.
L’acqua era ancora una certezza.

Erano strade naturali create dai passaggi.
Orme del passato ci aprivano il futuro
verso il fiume dove un tempo si faceva il bagno.

Che vivere è passare attraverso la propria vita
verso la vita che non c’appartiene
per Amarla e ristorarsi così

lasciandosi bere sorso dopo sorso
in mani concave e accoglienti 
e dissetarsi
ogni turbamento. ogni dolore
ogni infrazione d’esistenza

per poi piano
sempre in salita
con poca forza nelle gambe

ancora ripartire

liberamente tratto dalle gambe

distance

train de vie

.

In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
 
 E così dimenticammo le rose.
                                                     
 Dino Campana

(per Sibilla Aleramo)

liberamente tratto dalle Poesie che Amo
d’aria d’appennino, i dolori di Dino Campana

prière IV

à l'avenir

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Dio della Parola
Tu che riconosci l’incomprensibile
Atto a Te dovuto

perdona queste mani
per non aver pregato
la Tua continuità.

A Te,
ogni frammento di dolore
è recitato in piccole pause

ed è nello spazio vuoto
l’espressione
della mia parola migliore

liberamente pregato su una tastiera
come atto di dolore atto di presenza
o solo per giustificazione

caresse III

jambes

.

odore possibile,
potessi inserire un odore sul blog
quello dei fiori di tiglio prima di un temporale.

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Poi stringimi la vita,
in un pugno, sfiorami, proteggimi,
abbracciami, accarezzami

e sempre con le stesse mani,
guardami.

Guidami sul mio corpo
le prospettive che io non vedo

Sii un bianco bastone
nelll’oscurità della vita
e sii odore d’estate nelle lunghe ore d’inverno
sentiero dei miei sensi,
sotto ad un tiglio inebriami

Sii pioggia della mia sete
gioia della mia felicità
dolore del mio male

Sfiorami il volto
ogni volta che in me,
vuota d’ogni pretesa di tempo

quasi per male di tenerezza,
m’accarezzo

liberamente tratto dai polpastrelli delle dita
e tratto dal reggipetto, in un gesto
con cui m’asciugo sul volto, la parola

liquide

immagine possibile
un dito che sfiora l’acqua

.

Mi sfidi, mi fronteggi
come nello
specchio d’acqua zampillo ed immagine.

Come potrò trovare la via eterna
ch’offre lo specchio all’anima degli occhi
se vieni tu dal fondo della via
con la forza di quest’ansia che a un tratto
nasce da me, non so di dove, come tu da te stesso?

Intorno, tutto è luce.
Ma io non posso andare all’infinito di cui l’anima ha sete
per questo luogo – il suo! – dal quale tu
mi vieni incontro.

Ah, forza della mia immagine – vita! –
più forte di me stesso!

Juan Ramon Jimenez
Io me

Liberamente tratto dalle poesie che Amo
e dall’archivio fotografico dell’immaginazione

fleurs frites

potessi mettere una delle immagini
del mio archivio, inserirei
mani di donna che portano alla
propria bocca altre mani.

.

C’è un tratto della memoria ch’è la certezza del ricordo.
Quando il ricordo ha un sapore, la memoria
prende forma, gusto, sapore.

La forma è una vaschetta di fiori di zucca
e il sapore del ricordo assale la tristezza.

Ho comprato una vaschetta colma i fiori di zucca
per i tuoi sapori e per i miei e per quelli di tua zia e di nonna.
Oggi a cena ho deciso che ci saremmo mangiati
un pò di memoria, come allora,
quando non c’eri e io ne avevo poca
anche solo per immaginarti.

Domani riparti, verso il tuo futuro estivo
che sa di salsedine e spensieratezza.
Domani e per un mese sarai via
fra le onde della tua età estiva.

Ho cucinato io in casa di tua nonna,
come amavo cucinare le volte che veniva tuo padre
prima che diventasse mio marito
e come amavo fare da bambina
facendo mangiare ai nonni le peggiori cose.

Fiori di zucca, tesoro.
Pastella a occhio, come tutta la cucina di tua mamma.
Mai che abbia seguito una ricetta,
mai che mi sia attenuta a dosi specifiche.
L’occhio dosa tutto. Il gusto pure:
una semplice formula algebrica della memoria
degli odori e dei gusti,
una semplice intuizione e quel pò d’Amore
che non guasta mai.

fiori di zucca, tesoro.
Nella casa degli uteri che ancora ha gli odori
delle mura spesse di pietra d’estate
dove non arriva eccesso di calore.

Fiori di zucca, lavati senza togliere il pistillo
ch’è come evirare un sapore,
passati nella scatola della farina, lasciati roteare lì
per poi arrivare alla vaschetta di pastella
d’acqua, farina e poco sale.
Una padella d’olio d’oliva a friggere la memoria dei ricordi estivi.

Fiori di zucca,
immenso vassoio sulla tavola
della casa dalle mure spesse.

Nessun rumore arriva,
nessun senso si disperde sul soffitto a cassettoni di legno.
Solo uno squillo interrompe il cordone
del sapore dei nostri sensi.
E’ tuo padre. Gli chiedi di richiamarti che stai cenando a fiori di zucca
dalle smorfie capisco che non capisce e tu lo
mandi affanculo.

Fiori di zucca, figlio
se ho fritto anche le alghe dentro me
e tutte le erbacce amare della vita
e del pane che non mangio mai
però t’ho insegnato le buone maniere
rimproverandoti che così non si irisponde al propio padre, cazzo:

Terminata la cena, dai, richiamalo, sii grande, chiedigli scusa.
Quante scuse dovrebbe chiedere lui a te.
Ma non è figlio mio e io non glielo dirò mai.

Un buon sapore i fiori di zucca, stasera, figlio.
L’utero che pulsa nelle matriosche che ti hanno cresciuto
insieme a me.

L’ultimo fiore di zucca è il tuo, figlio.
Tu che hai da crescere e da uscire
da queste mura spesse di pietra.

Se non hai richiamato tuo padre
forse fra un fiore di zucca e l’altro,

un giorno anche lui
capirà

liberamente lavato in acqua corrente, infarinato, fritto e mangiato
dal nostro album di famiglia.

si

sedue

.

Se avessi avuto a disposizione il mio
archivio fotografico e dei programmi di
rielaborazione immagini avrei inserito
l’immagine di un nudo di donna che gioca
con del ghiaccio sul suo corpo.
Immagine saturata con giochi di ombre.
Al limite un rossetto rosso, per terra
per scrivere il post.

,

Se raccogliessi tutti i se sparsi nella mia vita,
ne farei collana preziosa di appuntamenti
ai quali mancherei per avere un rimpianto
e un pò più di salute

Se avessi il coraggio di seppellire la memoria
inizierei a spalare giorno notte senza dire niente
Mi vedresti andare dove se ne vanno i giorni.

Come l’ultimo ieri andrei verso il Tuo domani.
Abbracci nascosti, senza dire niente
in Te m’addormenterei

per poi risvegliarmi
oltre i giochi d’acqua
sulla pelle del tempo

dentro l’animale più simile
a Noi,

(Se)

liberamente tratto da una tastiera andata

le monde

imagfe pas modifiée, source le web

.

L’amore
non è paradiso terrestre,
a noi
l’amore
annunzia ronzando
che di nuovo
è stato messo in marcia
il motore
raffreddato del cuore.

Trattenendo
me stesso,
come a un convegno,
sino all’ultimo battito del petto,
tendo l’orecchio:
l’amore riprende a ronzare,
umano,
semplice.
Fuoco,
uragano
ed acqua
s’avanzano con un sordo brontolìo.
Chi saprebbe dominarsi?
Potete?

Provateci …

Vladimir Majakovskij
"per noi"