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"Ogni parola che non capite oggi,
è un calcio nel culo che prendete domani"
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Don Lorenzo Milani
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Ho letto la tua mail e ti rispondo qui. Mi chiedi di parlare ancora di Don Lorenzo
e mi dici nella mail di aver conosciuto Manrico Casini Velcha
del Centro di documentazione Don Milani e che vorresti sapere di più
di quel prete di montagna.
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Quando lui morì, io ero un feto di tre mesi
nell’utero di una donna straniera in Italia.
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Per capire Don Lorenzo, credo occorra capire dov’è che si trovi Barbiana.
Io vivo quei luoghi. Lì ho un piccolo mulino del 500, il mio paradiso,
dove vado a rifugiarmi quando ho bisogno di silenzio.
Il silenzio domina lì.
Per arrivare alla chiesa di Barbiana c’è da salire ancora molto,
circa sei chilometri di quelli che sfiancano, che sembra la strada non
debba finire mai.
Tutt’intorno c’è la montagna, qualche casa, roccia,
ginestre, cipressi, querci, i segni più probabili di vita.
Una volta saliti dove tutto finisce, un piccolo sentirero
difficile anche per le automobili, costeggia un burrone profondo
e da lì, oltre qualche altra ripa, nella gola, la piccola chiesa.
Per capire Don Lorenzo, quella strada va fatta a piedi
con al alimite una sola borraccia d’acqua a tracolla,
di quelle di latta, da 200 cl.
Molti ricordano Don Lorenzo come un uomo burbero,
sempre sulle sue, un tipo apparentemente presuntuoso,
particolare, strano, difficile.
La storia di Don Lorenzo è la scelta di un folle
che abbandona le ricchezze materiali della famiglia
per dedicare la propria vita a chi non ha voce.
Le prime esperienze le ebbe a Campi Bisenzio,
zona industriale di Firenze, da dove fu cacciato verso Barbiana.
Ancora oggi, per quanto la chiesa, dopo 40 anni dalla sua morte,
lo abbia "perdonato" (Articolo de La Repubblica di setitmana scorsa –
non vado a controllare, che ho pile di giornali in terra in cucina
e perderei sì e no mezza mattina) ancora ogi esili i Preti,
quelli veri verso destinazioni castranti.
L’insegnamento di Don Milani, per quanto mi riguarda
è da come si possa trarre beneficio da ogni cosa negativa,
e usare il male per farne strumento d’Amore.
In un’epoca senza internet, telefonia facile,
quest’uomo da una gola sperduta fra i pastori di montagna
ha scosso coscienze in tutto il mondo.
Non ho avuto la fortuna della povertà,
cosa che mi sto guadagnando ogni giorno, con le parole,
Quando sei nella condizione di non avere, puoi solo essere.
E scopri l’infinita ricchezza delle piccole cose.
Scopri la maestosità dello sbocciare di un fiore
e fai i conti coi morsi della fame.
Quando, non ne hai, fumi i mozziconi che trovi
e se hai due soldi li spendi per conoscere.
Siamo di passaggio su questa terra,
spesso con la presunzione della proprietà.
Nulla ci appartiene, se non la nostra dignità di persone,
se non con in bilancio quanti abbracci abbiamo dato,
o di quanta verità abbiamo bisogno.
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"Dopo l’istituzione della scuola media a Vicchio arrivarono a Barbiana anche i ragazzi di paese. Tutti bocciati naturalmente.
Apparentemente il problema della timidezza per loro non esisteva. Ma erano contorti in altre cose.
Per esempio consideravano il gioco e le vacanze un diritto, la scuola un sacrificio. Non avevano mai sentito dire che a scuola si va per imparare e che andarci è un privilegio.
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In risposta alla mail di F.
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Il maestro per loro era dall’altra parte della barricata e conveniva ingannarlo.
Cercavano perfino di copiare. Gli ci volle del tempo per capire che non c’era registro.
Anche sul sesso gli stessi sotterfugi. Credevano che bisognasse parlarne di nascosto. Se vedevano un galletto su una gallina si davano le gomitate come se avessero visto un adulterio.
Comunque sul principio era l’unica materia scolastica che li svegliasse.
Avevamo un libro di anatomia. Si chiudevano a guardarlo in un cantuccio.
Due pagine erano tutte consumate.
Più tardi scoprirono che son belline anche le altre. Poi si accorsero che è bella anche la storia.
Qualcuno non s’è più fermato. Ora gli interessa tutto. Fa scuola ai più piccini, è diventato come noi.
Qualcuno invece siete riusciti a ghiacciarlo un’altra volta.
Delle bambine di paese non ne venne neanche una. Forse era la difficoltà della strada. Forse la mentalità dei genitori.
Credono che una donna possa vivere anche con un cervello di gallina. I maschi non le chiedono di essere intelligente.
E’ razzismo anche questo. Ma su questo punto non abbiamo nulla da rimproverarvi. Le bambine le stimate più voi che i loro genitori.
Sandro aveva 15 anni. Alto un metro e settanta, umiliato, adulto. I professori l’avevano giudicato un cretino.
Volevano che ripetesse la prima per la terza volta.
Gianni aveva 14 anni. Svagato, allergico di natura. I professori l’avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno.
Né l’uno né l’altro avevano intenzione di ripetere. Erano ridotti a desiderare l’officina. Sono venuti da noi solo perché noi ignoriamo le vostre bocciature e mettiamo ogni ragazzo nella classe giusta per la sua età.
Si mise Sandro in terza e Gianni in seconda. E’ stata la prima soddisfazione scolastica della loro povera vita.
Sandro se ne ricorderà per sempre.
Gianni se ne ricorda un giorno sì e uno no.
La seconda soddisfazione fu di cambiare finalmente programma.
Voi li volevate tenere fermi alla ricerca della perfezione. Una perfezione che è assurda perché il ragazzo sente le stesse cose fino alla noia e intanto cresce. Le cose estano le stesse, ma cambia lui. Gli diventano puerili tra le mani.
Per esempio in prima gli avreste detto riletto per la seconda o terza volta la Piccola Fiammiferaia e la neve che fiocca fiocca fiocca. Invece in seconda ed in terza leggete roba scriba per adulti.
Gianni non sapeva mettere l’acca al verbo avere. Ma del mondo dei grandi sapeva tante cose. Del lavoro, delle famiglie, della vita del paese.
Qualche sera andava col babbo alla sezione comunista o alle sedute del Consiglio Comunale.
Voi coi greci e coi romani gli avete fatto odiare tutta la storia. Noi sull’ultima guerra si teneva quattro ore senza respirare.
A geografia gli avreste fatto l’Italia per la seconda volta. Avrebbe lasciato la scuola senza aver sentito rammentare tutto il resto del mondo.
Gli avreste fatto un danno grave. Anche solo per leggere il giornale.
Sandro in poco tempo s’appassionò a tutto. La mattina seguiva il programma di terza. Intanto prendeva nota delle cose che non sapeva e la sera frugava nei libri di seconda e di prima. A giugno il “cretino”; si presentò alla licenza e vi toccò passarlo.
Gianni fu più difficile. Dalla vostra scuola era uscito analfabeta e con l’odio per i libri.
Noi per lui si fecero acrobazie. Si riuscì a fargli amare non dico tutto, ma almeno qualche materia. Ci occorreva solo che lo riempiste di lodi e lo passaste in terza. Ci avremmo pensato noi a fargli amare anche il resto.
Ma agli esami una professoressa gli disse:- perché vai a scuola privata? Lo vedi che non ti sai esprimere?
Lo so anch’io che il Gianni non si sa esprimere.
Battiamoci il petto tutti quanti. Ma prima voi che l’avete buttato fuori di scuola l’anno prima.
Bella cura la vostra.
Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo.
Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi.
Appartiene alla ditta.
Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio:- Non si dice lalla, si dice aradio.
Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola.
"Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua"; . L’ha detto la Costituzione pensando a lui"
Don Lorenzo Milani
da "Lettera a una professoressa"